TALAMONA
29
gennaio 2016 si ricorda la Shoah con un libro
IL GHETTO DELLE FARFALLE
IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DELLA MEMORIA L’ISTITUTO GIOVANNI GAVAZZENI PRESENTA UNA RAPPRESENTAZIONE DI PAROLE E MUSICHE DAL GHETTO DI TEREZIN
Un progetto preparato nelle scorse settimane dai ragazzi di terza dell’Istituto Comprensivo Giovanni Gavazzeni. Per essere pronti, come ogni anno, ad onorare la giornata della memoria, in questa occasione i ragazzi hanno analizzato un libro, intitolato LA REPUBBLICA DELLE FARFALLE che parla di un gruppo di bambini costretti a vivere rinchiusi nel ghetto di Terezin. Un libro scritto da Matteo Corradini, nato nel 1975 che per ripercorrere il filo della memoria si è basato su documenti ufficiali.
Sono
gli stessi ragazzi che hanno presentato con queste parole il lavoro
svolto da cui è scaturita questa serata ricca di memorie,
riflessioni (e di pubblico) scandita da brani musicali suonati dai
ragazzi stessi, da cartelloni che gli stessi ragazzi hanno descritto,
da ricerche storiche che a turno i ragazzi hanno esposto e da letture
dei brani del libro in esame dai quali emergono storie emotivamente
forti di amicizia e vita in comune in situazioni estreme, una vita
scandita da una sola e unica parola d’ordine: resistenza.
Resistenza per ritagliarsi una parvenza di vita normale anche di
fronte agli orrori che si palesano sempre più evidenti (attraverso
ad esempio il pessimo cibo che viene fornito ai ragazzini, il fatto
di dover vivere lontano dai propri affetti familiari, ma ancor più
dalle strane grida di un gruppo di bambini che, a un certo punto, ai
nostri giovani protagonisti, appaiono un po’ troppo spaventati da
una semplice doccia, una stranezza che presto, loro malgrado,
giungeranno infine a comprendere); resistenza per l’appunto
attraverso le forti amicizie che vanno creandosi; resistenza
attraverso le attività che i ragazzini cercano di mantenere, di
traslare in questa nuova vita dalla vita di prima: resistenza
disegnando, scrivendo, facendo i compiti, tenendo persino una sorta
di giornalino cui tutti collaborano; resistenza aggrappandosi a cose
che in circostanze normali verrebbero date per scontate come il suono
di una mela che scrocchia sotto i denti. Tutto questo emerge dalle
pagine di questo libro. La vita che cerca sempre in ogni modo di
trovare una strada, di compiersi. Ed è esattamente questo che i
ragazzi coordinati dalla professoressa Simona Duca (che però stasera
non ha quasi avuto bisogno di intervenire, tanto i ragazzi se la
cavavano), hanno tratto dalla lettura del libro e hanno trasmesso
stasera in ogni modo. Ecco perché un ingrediente fondamentale di
tutto il lavoro è stata la musica (che avrebbe dovuto essere
coordinata dal professor Riccardo Camero, purtroppo assente), la
musica come simbolo della vita che trionfa sulla morte, del bene che
trionfa sul male, della bellezza che resiste contro chi la vuole
cancellare. Il messaggio più importante che si vuole trasmettere con
queste rievocazioni (oltre naturalmente alla memoria storica degli
eventi in sé) credo sia proprio questo: la forza di ricercare la
bellezza nelle cose e nella vita pur trovandosi di fronte all’orrore,
al peggio del peggio della natura umana.
I
ragazzi di oggi raccontano i ragazzi di ieri:
le memorie di Terezin
in due cartelloni
Il
primo cartellone preparato da un gruppo di cinque ragazze fornisce
notizie sul ghetto mentre il secondo si concentra sulla vita dei
bambini e dei ragazzini che sono stati costretti a vivere li dentro.
Dal
1941 al 1945 in questo ghetto vennero uccisi all’incirca 14900
bambini. Finchè erano ancora vivi questi bambini comunque
soffrivano, per il distacco dalle loro famiglie soprattutto, ma
fortunatamente potevano contare su un gruppo di insegnanti che dava
loro delle lezioni clandestine che avevano il principale scopo di
mantenere nelle loro giovani vite sconvolte una parvenza di normalità
Possiamo
vedere delle immagini su questo cartellone. Possiamo vedere dove
dormivano e mangiavano i bambini del ghetto, possiamo vedere le
palazzine, il cortile, possiamo vedere il disegno di un orto fatto da
uno di loro e un altro disegno dove qualcuno ha rappresentato il loro
arrivo nel ghetto. Non tutte le immagini raccontano la verità.
Almeno un paio sono immagini propagandistiche. I nazisti mantenevano
il consenso nascondendo gli orrori che commettevano e facendo credere
alla popolazione che le persone deportate nei ghetti (e anche nei
lager) conducessero una vita dove non mancava loro nulla, dove
potevano contare su un gran numero di servizi, svolgere attività
(che invece quando venivano svolte erano clandestine come abbiamo
detto). Tra queste immagine anche il cimitero situato nei pressi nel
ghetto che oggi si erge come una sorta di monumento alla memoria.
Il
secondo cartellone da voce ai bambini e infatti si intitola proprio
così, LA VOCE DEI BAMBINI i quali cercavano ogni possibile
distrazione per sopravvivere, per andare avanti.
C’erano
due filoni di disegni. Uno era il filone nostalgico che rappresentava
i ricordi della vita prima di essere catapultati dentro al ghetto, la
vita accanto ai propri familiari. L’altro era il filone più
drammatico della vita presente, dei giorni che si consumavano dentro
al ghetto.
A
Terezin nonostante tutto si riusciva a mantenere una parvenza di
normalità, i bambini riuscivano a seguire delle lezioni soprattutto
di disegno e di scrittura, lezioni clandestine. Gli insegnanti
riuscivano fortunatamente a nascondere il materiale prodotto dai
bambini durante queste lezioni, materiale che oggi diventa
testimonianza e fa si che giunga fino a noi il grido di questi
giovani dal passato.
I
bambini scrivevano anche delle poesie e nel cartellone qui sopra
riprodotto se ne possono leggere due che si accompagnano ad altri
disegni. Disegni che assumono toni sempre più drammatici, che
rappresentano Auschwitz con colori spenti e grigi che sanno renderne
tutta la drammatica realtà rappresentano il campo, rappresentano
l’arrivo al campo, la deportazione e nella loro drammaticità
comunque portano un messaggio che potremmo dire positivo nel senso
che ci raccontano che gli autori di questi disegni sono sopravvissuti
all’Olocausto seppure purtroppo con tutte le devastazioni fisiche,
ma soprattutto psichiche del caso. Altri disegni riescono persino ad
essere allegri, rappresentano fiori, farfalle con colori vivaci.
Il
ghetto di Terezin: cenni storici
Memorie e sentimenti dal ghetto di Terezin attraverso parole e immagini
Lassù
nella soffitta ci eravamo dimenticati del buio, del silenzio, della
notte che incombeva su di noi delle stelle che non si vedevano più
oltre la finestra (…) ecco la luce, la stanza si infiamma di
colori…
Qui
a Terezin non parliamo mai di cio che era la vita in città,
ricordiamo solo le facce migliori di quei giorni… una frase per chi
non l’aveva, gli amici, i giochi, le strade dove correre, il parco,
il fiume, le cose più care, un pezzo di legno che diventa
giocattolo, un libro, un dolce
Le
tenebre che ci avvolgono sono le stesse per tutti, ma le cose per cui
abbiamo nostalgia sono per ognuno diverse
Mi sveglio, non riconosco i mobili, ma è casa mia il corridoio è lungo… non è casa mia è di carta
Mi sveglio, non riconosco i mobili, ma è casa mia il corridoio è lungo… non è casa mia è di carta
Questi
sono alcuni estratti dei brani del libro letti dai ragazzi durante la
serata. Il racconto della vita nel ghetto di Terezin prende in esame
molti aspetti che i ragazzi hanno analizzato tra una lettura e
l’altra.
Il
simbolo della farfalla
Nel
testo la figura della farfalla è presente in più punti. Non solo è
metafora di fragilità bensì di speranza, forza e libertà anche in
un luogo come Terezin. Infatti una farfalla è abbandonata a se
stessa e non dipende da nessuno.
Alcuni
dei brani letti mettono in evidenza una sorta di aspetto lirico del
libro. Il protagonista vede cio che non c’è. Un oggetto per
sfamarsi diventa un’arma per vendicarsi, fino a trasformarsi nella
vera arma per i ragazzi del ghetto, l’unica arma per combattere
l’universo di violenza in cui sono immersi, ovvero una penna
La
musica e l’arte
Un’altra
tematica che ricorre in questo libro e dunque anche all’interno del
ghetto, è quella che riguarda la musica e l’arte, infatti la
musica aveva un ruolo fondamentale dal punto di vista della
propaganda a favore dei nazisti, ma anche a favore della vita degli
ebrei alla quale infondeva momenti di calma soprattutto nei bambini,
ma anche negli adulti che in momenti del genere, rinchiusi dentro al
ghetto, non riuscivano in altro modo a trovare la pace interiore. La
musica dunque era una sorta di fuga psicologica per tutte queste
persone, un modo per sognare un futuro migliore oltre un orrore che
non sembrava avere fine.
A
Terezin certe settimane passano senza che accada nulla. Ogni giorno è
preciso a quello che lo precede e sarà ancora più identico a quello
che seguirà. Ci si alza presto, due passi, la scuola e il ritorno.
La scuola è clandestina, la organizziamo al piano di sotto o a volte
anche di sopra o in camerata. Non c’è molta strada da fare per
andare a lezione. Il pomeriggio a giocare nel piccolo parco così da
non perdere di vista gli amici. La sera del venerdì riunirsi con la
redazione, raccontarsi cos’è successo, ma non è accaduto quasi
nulla. Scrivere, scrivere, disegnare e poi raccogliere i disegni
degli altri e gli articoli di quelli che hanno qualcosa da rivelare
per VEDEM, per il nostro giornale e sono tanti che a contarli non
bastano le dita di tutta la redazione, decine di ragazzi che non
vogliono passare questi giorni senza dire la propria parola…
Riferire
quello che succede per le strade, nelle camerate, che cosa hanno
visto fare dalle guardie che cosa gli scappa dentro.
Siamo
una repubblica di amici, andiamo a letto stanchi e con gli occhi
secchi
Gli
inganni dei nazisti
In
una scena del libro si racconta dei nazisti che portano della
marmellata ai ragazzini di Terezin per mentire al popolo tedesco
dicendo che avevano costruito una città per gli ebrei di modo che
non ci fosse sentore dello sterminio che ivi si consumava, in modo
tale che i tedeschi non si sarebbero sentiti in colpa.
Memorie
da Terezin parte seconda
Sono
proseguite, tra brani suonati e riflessioni, le letture del libro, da
cui emerge sempre più evidente più che la banalità del male
l’assurdità dell’orrore una realtà che nemmeno Kafka (guarda
caso ebreo) nei suoi più cupi racconti avrebbe saputo immaginare.
Una vita che non è più normale, ma che in alcuni frangenti deve
fingere di esserlo per nascondere la verità e permettere ai nazisti
di agire indisturbati.
A
Terezin la parola trasporto non è una parola normale. Lo capiamo
stanotte guardando chi ci è di fronte
È
andato
(uno dei bambini del ghetto ndr)
dove
arrivano i treni, quelli in arrivi, perché chi và a smaltire i
trasporti in partenza vede cose diverse
Sono
arrivati col treno merce dalla Germania da Berlino o Dresda. Quelli
di Dresda hanno fatto meno strada. Li hanno fatti scaricare. Sono
scesi con gli occhi arrossati dalla nostalgia di casa
Domani
partiremo per l’est e la notizia non ci ha sconvolti. Sapevamo che
sarebbe successo a noi quel che è accaduto a tutto il ghetto.
All’arrivo i nazisti ci gettano giù dai treni. Insultano, mordono, noi sanguiniamo
All’arrivo i nazisti ci gettano giù dai treni. Insultano, mordono, noi sanguiniamo
Conclusioni
La
scelta di concludere con l’INNO ALLA GIOIA è stata spiegata dai
ragazzi in questi termini “i nazisti hanno tolto tutto agli ebrei
tranne la loro dignità che è la cosa più importante che hanno”.
Ed è con queste parole (e l’assolo di batteria del ragazzino che
ha fatto da direttore d’orchestra per le parti musicate) e i
ringraziamenti e gli omaggi del caso a tutti coloro i quali hanno
lavorato molto per rendere possibile questa serata che ha rievocato
una pagina dolorosa della storia, che il tutto si è alla fine
concluso.
Antonella
Alemanni
Complimenti vivissim8
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